UNIFICAZIONE EUROPEA
L’idea che l’Europa non sia solo un’espressione geografica ma una comunità di destino da costruire è antica. Ma solo con le guerre mondiali, che mettono a nudo l’urgenza di trovare una modalità di convivenza pacifica fra le potenze del Vecchio Continente, l’unificazione europea diventa un progetto politico.
Dopo la seconda guerra mondiale si avviano i processi che porteranno a gradi sempre più elevati di integrazione economica ed istituzionale del continente.
L’unificazione europea è divenuta sinonimo prima di tutto di integrazione economica e monetaria. Con grandi successi ma anche alcune ombre. Il cambiamento istituzionale, sociale, culturale e politico è rimasto indietro rispetto alla forza di integrazione dei mercati, mostrando come l’unificazione europea sia un obiettivo ben più ampio, ancora lontano dall’essere stato raggiunto in modo compiuto e per il quale occorre ancora lavorare.
GOVERNANCE GLOBALE
Una delle caratteristiche fondamentali degli individui, così come delle loro aggregazioni (gruppi sociali, imprese, etc) è la necessità di dover effettuare continuamente delle scelte.
Laddove esiste un sistema di governo costituzionalmente riconosciuto, le scelte collettive vengono affidate ai rappresentanti eletti e, attraverso di loro, al governo. Quando le scelte collettive non sono sorrette da alcuna norma vincolante che costringa le parti a raggiungere una scelta con metodi democratici, significa che manca un governo ed occorre allora far ricorso alla governance.
La governance è un complesso sistema di regole, quasi sempre non giuridicamente vincolanti, che servono a realizzare scelte collettive in mancanza di un governo legittimo. In ciascuno Stato democratico, il governo assicura la legittimità delle scelte collettive. A livello internazionale, non esistendo un governo collettivo sovranazionale, si fa ricorso a meccanismi di governance basati su compromessi istituzionali, incontri delle diplomazie, rapporti di forza.
La global governance è l'insieme dei tentativi di effettuare scelte collettive globali in mancanza di norme internazionali vincolanti.
CITTADINANZA ATTIVA MULTILIVELLO
Il rapporto fra individuo e poteri pubblici si è profondamente evoluto nella storia. Negli ultimi secoli, con l’affermazione degli Stati Nazionali come forma sostanzialmente esclusiva di identificazione del potere pubblico, si è consolidata una concezione dell’individuo come suddito, ossia come un soggetto che chiede allo stato protezione militare (difesa) e sociale (erogazione di alcuni beni pubblici come la scuola, la sanità, l’amministrazione della giustizia) in cambio del pagamento delle imposte.
La crescente interdipendenza e complessità che caratterizzano l’attuale fase di globalizzazione ha messo in discussione l’esistenza di un rapporto univoco fra individuo e stato nazionale. L’individuo è parte di un sistema concentrico di decisioni collettive che interessano comunità locali come organizzazioni sovranazionali.
La cittadinanza perde la dimensione esclusiva di sudditanza nei confronti dello Stato per divenire un concetto complesso di partecipazione attiva a più livelli di decisioni collettive, dalla dimensione locale a quella globale.
Questa partecipazione necessita di forme di raccolta, organizzazione e gestione delle scelte individuali e collettive che ancora oggi sono in massima parte da ideare e sperimentare.
PLURALISMO METODOLOGICO
Storicamente, le Scienze Umane e Sociali hanno ritenuto lo Stato Nazionale l'attore chiave naturale dei processi politici, economici, culturali e storici. E proprio a causa di questo, gli aspetti essenziali dello sviluppo dell'evoluzione e del radicamento di questi processi sono oggi ignorati o fraintesi. Per questa ragione molti studiosi criticano questo approccio metodologico allo studio dei processi storici. Ad esempio, Ranke e Dehio credevano che una storia nazionale fosse impossibile, visto che le evoluzioni nazionali, sub-nazionali e supra-nazionali di sistema sono profondamente e indissolubilmente legate tra loro. In economia, Robbins ha criticato quei liberali che hanno adottato un punto di vista puramente nazionale, trascurando le possibilità offerte da un approccio di tipo sovranazionale e multilivello. Allo stesso modo, Gellner disapprovava l'uso di approcci esclusivamente nazionalisti nell'ambito degli studi di sociologia.
Nel campo della filosofia politica, fu Mario Albertini a sottolineare la necessità di superare il paradigma dello Stato-Nazione. Ma il merito di una più precisa concettualizzazione di tale necessità epistemologica va riconosciuto a Ulrich Beck, che ha coniato il concetto di "nazionalismo metodologico" per contrapporgli un nuovo paradigma in fieri da lui denominato "cosmopolitismo metodologico" - concetto tuttora in via di definizione nel dibattito scientifico.
In realtà, sarebbe più corretto dire che il "nazionalismo metodologico" non è che lo specchio di una più ampia tendenza al "monismo metodologico" in tutti i campi della scienza - tendenza che nelle scienze naturali è meglio conosciuta come "riduzionismo" e che a livello di cultura diffusa si traduce ad esempio in concetti e pratiche identitarie chiuse al cambiamento e al confronto. In nome di questa prospettiva sarebbe perciò meglio propugnare una più profonda rivoluzione paradigmatica improntata al "pluralismo metodologico", ovvero al riconoscimento della complessità del mondo. Per il mondo scientifico, ciò significa anche maggiore assunzione di responsabilità da parte degli studiosi, cui spetta il compito di individuare di volta in volta i livelli e gli attori più rilevanti.
Questo approccio - che nel campo delle scienze sociali beneficia in modo decisivo degli studi di Norbert Elias - è alla base delle attività di ricerca e formazione che svolgiamo.